giovedì 18 ottobre 2012

Onorevole colazione

Seduto in un angolo del bar. Succo di frutta, caffè d’orzo e il quotidiano da sfogliare. Ci sono pochi avventori. Sto ancora leggendo le ultime dichiarazioni di Mario Monti sulla crisi economica, quando nel locale entra un onorevole con un codazzo di persone sorridenti. Ci conosciamo ma faccio finta di non vederlo. È inutile. Si avvicina al mio tavolo e saluta come di rito: «Ciao. Che piacere vederti. Tutto bene?». Rispondo con le solite frasi di circostanza. 
L’onorevole torna al bancone e con gli amici consuma la colazione. Dirigendosi verso la cassa dice ad alta voce all’avvenente signorina che gli sorride di inserire nel conto anche la mia consumazione. Tutti i presenti afferrano il proprio portafoglio e precipitandosi alla cassa fanno a gara per superarlo e impedirgli di pagare. Non serve. Da dietro il bancone esce il proprietario, afferra deciso la mano dell’onorevole e, come se fosse una dichiarazione di amore, gli sussurra: «Onorevole! Ma sta scherzando. Lei e i suoi amici siete ospiti. Onorevole non mi deve nulla. Grazie, grazie mille». Sto per rimettere la colazione ma mi trattengo e continuo a leggere il giornale. L’onorevole mi fa un cenno di saluto e va via seguito rumorosamente dalla sua micro claque. 
È stato un discreto amministratore locale ma da quando è approdato in Parlamento si è trasformato in negativo, è diventato un’altra persona. Accade a tutti, è solo questione di tempo. 
Mancano ancora 30 minuti al primo appuntamento della mattina. Nel bar sono rimasto da solo. Dopo qualche minuto dalla porta compare un ragazzo di circa 30 anni e alto 1,85 centimetri, africano, vestito con roba usata ma in maniera dignitosa. 
Il proprietario lo guarda con disprezzo e poi gli urla: «Che cosa vuoi? Non facciamo elemosina in questo locale». Il ragazzo esita, poi balbettando spiega che vuole soltanto prendere un cappuccino e una brioche. Il barista gli chiede di pagare prima della consumazione. Non ho sentito bene l’importo ma credo che gli abbia anche maggiorato il prezzo di qualche euro. Lo serve in maniera rude e per lui usa un bicchiere di plastica, anziché la tazza. Mi alzo di scatto, chiedo al ragazzo di lasciare tutto sul bancone e di seguirmi fuori. Il proprietario mi guarda perplesso e anche un po’ spaventato. In alto tra le bottiglie, scorgo l’icona del Duce. Mi ricordo che l’unico fascista buono è il fascista morto. Lascio 15 euro sul bancone, la stessa cifra che avrebbe dovuto pagare l’onorevole e dico al proprietario: «Questo è il valore della tua dignità, servile con i potenti, prepotente con i deboli». 
Usciamo dal bar, il ragazzo mi segue, ci infiliamo in un altro locale. Ordino un caffè d’orzo in tazza piccola e il mio nuovo amico la sua colazione. Questa volta è servito con rispetto. Mi racconta qualcosa della sua vita, della sua terra, delle tante difficoltà. È un medico venuto in Italia a cercare fortuna, come tanti. Devo andare, ci stringiamo la mano e andiamo via, ognuno per la sua strada.


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