Ai tempi della pandemia possiamo dividere le persone in due grandi gruppi: quelli che sono stati inghiottiti nel buco nero dello smart working e quelli che danno pieno sfogo alle loro passioni e alla propria vena creativa.
I primi praticamente iniziano a lavorare alle sette del mattino e finiscono alle 24.00 e per andare in bagno devono organizzare i tempi al millesimo ricorrendo a difficili formule matematiche e aggiungendo tripli salti mortali all’indietro tra call, figli che urlano e animali domestici che vogliono conto e regione.
Lo smart working all’italiana significa che tu stai a casa, diventi disponibile 24 ore su 24, sette giorni su sette, lavori con il tuo computer, la tua connessione internet, insomma trasformi casa tua in ufficio operativo al servizio dell’azienda.
E poi c’è il capo che, probabilmente per terribili attacchi di solitudine o al contrario per estraniarsi dalla famiglia che prima incrociava solo nel weekend, improvvisa call anche in tarda serata in cui i primi 5 minuti fa finta di discutere di lavoro e per il resto arriva a parlare della strana forma della cacca del suo cane.
Lo smart working non finisce mai. Non ha importanza se sei già “impigiamato” o se dopo 12 ore di smart working hai gli occhi rossi e la faccia come un mocio vileda con cui è stato pulito un cesso pubblico.
I secondi, invece, pur lavorando anche loro da casa, noncuranti dei possibili controlli dell’azienda, sfruttano al massimo le 24 ore di una giornata per dedicarsi il più possibile al tempo libero e alle loro passioni.
Postano ogni giorno e in maniera compulsiva sui social le foto di allenamenti cazzuti, corse in aperta campagna o per le vie semideserte del centro urbano, escursioni in bicicletta. E poi ci sono quelli invasati dal demone della creatività che si improvvisano scrittori, cantanti e giornalisti.
Altri aggiungono anche fantasmagoriche imprese gastronomiche da mettere in ombra lo chef Antonino Cannavacciuolo. Poi c’è anche chi riesce a fare fuori, uno dopo l’altro, gli archivi di serie tv e film di Sky, Rai Play, Amazon e Netflix e di altre piattaforme. Questi sono quelli non vogliono più tornare in ufficio, che lavorare da casa è la cosa più bella del mondo, che urlano dai balconi “smart working” per sempre.
È ovvio che sono due situazioni estreme e che in mezzo ci sono tante condizioni diverse, tante sfumature di vita quotidiana condizionate dalle restrizioni di sicurezza anti Covid-19. In ogni modo, lasciando da parte le cose più serie come i casi di contagio, i ricoveri e le morti, è possibile dire che come spesso accade anche ai tempi della pandemia c’è chi ha peggiorato la qualità della propria vita e chi invece è rinato e sorride come se avesse vinto la lotteria.
Foto di Anthony DeRosa da Pexels
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