sabato 29 maggio 2010

Giovani, Neet e CCCP

"Non studio, non lavoro, non guardo la tv, non vado al cinema, non faccio sport". Era questo il ritornello della canzone targata 1985 "Io sto bene" del gruppo punk emiliano CCCP di Giovanni Lindo Ferretti.
A distanza di 25 anni si coglie un parallelo con l'ultimo rapporto dell'Istat, dal quale emerge che oltre due milioni di giovani italiani non sono né a scuola, né a lavoro.
Si tratta del 21,2% degli under 29, ragazzi fuori dal circuito formazione-lavoro, bloccati nel limbo della precarietà, costretti quando possibile ad arrangiarsi con l'aiuto dei genitori in attesa di tempi migliori che non arrivano mai.
È il fenomeno in continua crescita dei cosiddetti Neet (Not in education, employment or training). Tra il 2008 e il 2009 i giovani, dai 20 ai 24 anni classificabili come Neet, sono aumentati del 13%. Nel Sud sono il 30,3% contro il 14,5% del Nord.
In Italia il tasso di disoccupazione a novembre ha raggiunto l'8,3%. Nell’ultimo anno sono state bruciate oltre 400 mila unità lavorative. Aumentano progressivamente le persone in cerca di un lavoro. È il dato peggiore dal 2004.
Il tasso giovanile è pari al 26,5%, significa che un giovane ogni 4 non riesce a trovare lavoro. L'Inps ha comunicato che nel 2009 le ore di cassa integrazione sono aumentate del 311,4% rispetto all’anno precedente passando da 223 milioni a 918 milioni.
Per uscire da questo pantano al momento per un giovane ci sono poche soluzioni, tra queste: diventare un pericoloso criminale o un viscido politico (se le due cose coincidono la carriera è assicurata); sposare il figlio di Silvio Berlusconi o un milionario, come suggerito dallo stesso premier il 13 marzo del 2008; buttarsi nel mercato del porno (ma con la consapevolezza che l'unico settore che ancora rende è quello omosessuale).
È, dunque, possibile sostenere che i giovani hanno tutta la vita davanti, ma non sanno mai cosa possono trovarsi di dietro. A peggiore la situazione c'è una legge Finanziaria che promette lacrime e sangue. Il premier, dopo aver abbandonato il suo insano ottimismo con un triplo salto mortale carpiato, ha detto che in questo provvedimento ha messo la sua faccia. Indovinate cosa invece ci metteranno gli italiani?
Ogni Neet è moderatamente perplesso e come un tempo urlavano i CCCP si chiede: "Io sto bene, io sto male, io non so come stare, io sto bene, io sto male, io non so cosa fare …".


venerdì 21 maggio 2010

Una colata di cemento vi seppellirà

Il cemento salverà l'economia. Grandi infrastrutture ed espansione edilizia senza limiti sono la soluzione a tutti i problemi. In ogni borgo d'Italia opera una cricca nota come "la banda del cemento" che vuole costruire ad ogni costo. Non ha importanza se spesso si tratta di interventi inutili e di enorme impatto ambientale.
La parola d'ordine è costruire, formalmente per rimettere in moto l'economia. Nessuno fermerà il progresso. I componenti della banda, più o meno potenti, più o meno opportunisti, più o meno minacciosi, per lavarsi la coscienza periodicamente promuovono qualche provvedimento ambientalista e ricorrono a parole e frasi ad effetto come: biologico, cultura ecosostenibile, energie alternative, acquisto solidale e consumo di prodotti locali a km zero. Ma dietro le quinte si danno da fare soltanto per cementificare il Paese.
Il cemento è sacro, genera affari così succulenti da tenere unita, dal centro alle periferie, una cricca multiforme fatta di post fascisti, secessionisti in salsa verde, post comunisti, santi uomini, dinosauri post democristiani, salta fosso, colletti bianchi senza anima e socialisti non pentiti. Il cemento è vita, fede, libertà, ricchezza e futuro.
Migliaia di aziende continuano a chiudere i cancelli, a mettere in cassa integrazione i lavoratori. A chi serve la politica del cemento? Qual è il vantaggio? Chi ci guadagna? Non fate troppe domande altrimenti, come spesso accade dalle Alpi allo Stretto di Messina, potreste correre il rischio di sparire. Non guardate. Non parlate. Non ascoltate. Altrimenti una colata di cemento vi seppellirà.


venerdì 14 maggio 2010

Se critichi ti cancello

Sono tempi bastardi. Dalla cultura del confronto, anche duro ma democratico, che aiuta la società a crescere si è passati alla sterile cultura del nemico da abbattere ad ogni costo e con ogni mezzo. In giro si incontrano tante persone prive di spirito critico e ridotte a pericolosi automi. Sono fanatici della propria "tribù", servi sciocchi e semplici opportunisti. Un popolo, che ama più di ogni altra cosa il calcio, dovrebbe sapere che i giocatori in campo si confrontano duramente, a volte commettendo anche qualche fallo di troppo, ma ogni partita finisce sempre con una stretta di mano e lo scambio della maglietta. Un popolo evoluto dovrebbe sapere che la critica stimola importanti riflessioni e consente di intervenire in tempo utile per migliorare lo stato delle cose a vantaggio di tutti. Oggi la tendenza generale è di staccare il cervello e di uniformarsi ciecamente alla linea del capo, del partito o della guida spirituale. Non è più permesso criticare, fare funzionare i neuroni, provocare. Aumentano i casi grotteschi, come quello della zia politicamente destrorsa che cancella dagli amici di facebook la propria nipote perché ha osato pubblicare messaggi di critica contro il governo in carica. E ancora per restare nel social network, il caso dell'artista indipendente che cancella un vecchio e caro amico solo perché questo ha osato accettare tra i suoi contatti un esponente del PdL. La regola è schierarsi, combattere e ubbidire senza pensare e criticare, altrimenti si rischia di essere cancellati (al momento, soltanto nei social network, domani chissà…).  




lunedì 10 maggio 2010

Conflitti, giornalisti e giornalai

Piccoli e grandi conflitti di interesse interessano anche il mondo del giornalismo. Un fenomeno che si diffonde come un cancro soprattutto nelle periferie dell'alto impero italiano, dove proliferano settimanali poco indipendenti e dove il controllo delle autorità è più blando. Uno dei conflitti più diffusi e negativi da un punto di vista deontologico, riguarda i giornalisti o aspiranti tali che pubblicano articoli riguardanti enti o persone di cui curano l'ufficio stampa. È come se il corrispondente della cronaca parlamentare di un giornale fosse al tempo stesso addetto stampa o comunque consulente di un gruppo parlamentare. Secondo la deontologia professionale un giornalista che ricopre incarichi di ufficio stampa (ma anche incarichi di altro tipo, ad esempio direttivi, manageriali, di dipendenza, collaborazione) per un ente, una società (pubblica o privata) un'associazione (anche no profit) non può realizzare servizi per testate giornalistiche sugli argomenti per i quali potrebbe realizzarsi un conflitto d'interessi. È un modo di lavorare molto scorretto e che raggiunge il massimo squallore quando si sfrutta la posizione all'interno di un giornale come arma di ricatto per ottenere una consulenza all'esterno. In sintesi, la richiesta suona così: "Se vuoi uscire nel mio giornale mi devi garantire una consulenza, altrimenti scrivo di te in negativo o peggio faccio in modo che tu non esista". In sostanza, più o meno velatamente, ci sono situazioni in cui si deve pagare per "esistere" sulla stampa o almeno per tenerti buoni certi giornalai. In pochi denunciano questa situazione che in alcuni casi è così diffusa da condizionare l'informazione in ampie aree territoriali a scapito degli ignari lettori. La maggioranza (formata da cittadini, giornalisti, amministratori e politici onesti) tace per paura di facili ritorsioni. Altri preferiscono accettarla o peggio cavalcarla questa situazione che in fondo permettere di condizionare a buon mercato pezzi importanti di informazione locale.




martedì 4 maggio 2010

Rivoluzionari si nasce

Se lo conosci lo eviti. Ci vuole molta pazienza per sopportare un radical chic che gioca a fare il rivoluzionario. Un simile esemplare è possibile riconoscerlo per diversi comportamenti distintivi.
Nei primi cinque minuti di una conversazione con un estraneo si dichiara spontaneamente di sinistra ma poi chiede allo sfortunato interlocutore (più o meno direttamente) in ordine: titolo di studio, attività lavorativa svolta, a quanto ammonta il conto in banca, proprietà immobiliari, quartiere di residenza.
Alla fine della verifica se l'interlocutore ha una migliore posizione sociale il radical chic gli porta rispetto e lo tratta benissimo, in caso contrario ai suoi occhi scade immediatamente al rango della fantozziana merdaccia.
Altro fastidioso elemento distintivo sono le citazioni, ne infila mediamente una ogni due tre parole per fare capire a chi gli sta vicino che è una persona colta.
Veste in maniera apparentemente trasandata, ma il look è curato nei minimi particolari. È in prima fila nelle manifestazioni, ostenta posizioni anticonformiste e radicali e almeno a parole si batte per garantire un mondo più equo e solidale per tutti. Questo rivoluzionario è spesso benestante, viziato, borghese e molto ipocrita. Ha più punti in comune con chi è al potere che con la gente della strada che fatica ad arrivare alla fine del mese.