L’Italia è una
Repubblica fondata sulla raccomandazione ma è vietato anche parlarne. In tempi
di forte crisi economica, soprattutto per motivi di sopravvivenza, dovrebbero
imporsi meritocrazia, serietà, professionalità, competenza, invece continuano a
prevalere raccomandazione e nepotismo. Tutto questo anche a costo di affondare
un’azienda o addirittura il Belpaese. È un comportamento che probabilmente è
dettato da qualche sequenza speciale di nucleotidi del Dna di molti italiani,
che si potrebbe denominare “sequenza del paraculo”.
Niente di nuovo. Le
commedie italiane degli Anni Sessanta, gli stessi del decantato boom economico,
descrivevano già egregiamente questa caratteristica italiota, questa pulsione
esasperata alla raccomandazione d’impronta mafiosa (dal Nord al Sud senza
distinzioni). Una cattiva attitudine che nel tempo si è solo sviluppata
interessando tutti i settori della vita sociale ed economica del Paese e
trasformando i raccomandati in soggetti arroganti e perfino orgogliosi di
mostrare il loro status di paraculati.
Un tempo invece i
raccomandati avevano il buonsenso di stare zitti e di essere discreti. I
potenti della Democrazia Cristiana, partito che ha governato l’Italia per 50
anni e continua a farlo attraverso gli eredi che come un virus si sono
infiltrati in tutti gli schieramenti da destra a sinistra, consigliavano di assumere
anche uno bravo (perché indispensabile per andare avanti).
A onor del vero ci
sono anche moltissime persone capaci ma pur sempre raccomandate, che in un
Paese normale avrebbero fatto lo stesso carriera ma soltanto camminando con le
proprie gambe. In Italia non si riesce a rinunciare alla raccomandazione,
neanche per fare la coda davanti alla porta di un cesso pubblico.
È un problema
culturale e proprio sulla formazione si dovrebbe agire iniziando come sempre
dalla scuola, come si sta già facendo per sensibilizzare le nuove generazioni
contro la mafia e la corruzione. Il problema è che questa cultura
autodistruttiva della spintarella è fortemente radicata nel tessuto sociale.
Ecco
perché oggi, anche di fronte all'aumento esponenziale di famiglie povere e
disperate, non si riesce a cambiare rotta. La nave sta affondando ma le bande
di amici degli amici che detengono pezzi di potere e decidono, continuano
imperterriti a fregarsene del bene comune. Ignorano che a un certo punto anche
per loro mancheranno le scialuppe di salvataggio e si troveranno a nuotare in
un mare di merda tentando di salvare la pelle.
È comunque vietato
parlare di raccomandazione e nepotismo. Non è elegante. Si consiglia di restare
indifferenti anche di fronte ai casi che gridano giustizia. Chi pone la
questione lo fa a suo rischio e pericolo in ogni senso. Quante storie si
potrebbero raccontare di figli di papà dal cognome importante ma non
particolarmente dotati che superano rigide prove di selezione, vengono assunti
dove e quando vogliono facendo carriere eccezionali in tempi record per poi
provocare danni irreparabili a tutto il sistema.
I cittadini italiani
normali devono andare avanti e stringere i denti, con la consapevolezza che in
questo Paese non basta essere preparati o talentuosi. Un giovane può anche
laurearsi a pieni voti, ottenere delle borse di studio ma senza la giusta
spintarella dovrà quasi sicuramente accontentarsi o emigrare fuori dai confini
nazionali.
Come già rilevato, è
un problema culturale e come spesso ha detto un buon sindaco della provincia
milanese, anche il cittadino che salta la fila in un ufficio comunale o ottiene
velocemente il via libera a una pratica grazie a qualche “conoscenza” nei posti
giusti è complice.
È possibile partire
dai piccoli gesti quotidiani per sradicare la cultura dei favoritismi, delle
raccomandazioni, della prepotenza mafiosa. Non bisogna confondere la
raccomandazione (l’imposizione di una persona indipendentemente dalle sue
qualità), con le referenze o segnalazioni di persone capaci di svolgere bene la
propria attività. In ogni modo, l’augurio è che per puro spirito di
sopravvivenza, si riesca lentamente a creare le basi per costruire una vera
Repubblica democratica fondata sul lavoro.
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