lunedì 13 gennaio 2014

La cultura della spintarella

L’Italia è una Repubblica fondata sulla raccomandazione ma è vietato anche parlarne. In tempi di forte crisi economica, soprattutto per motivi di sopravvivenza, dovrebbero imporsi meritocrazia, serietà, professionalità, competenza, invece continuano a prevalere raccomandazione e nepotismo. Tutto questo anche a costo di affondare un’azienda o addirittura il Belpaese. È un comportamento che probabilmente è dettato da qualche sequenza speciale di nucleotidi del Dna di molti italiani, che si potrebbe denominare “sequenza del paraculo”.
Niente di nuovo. Le commedie italiane degli Anni Sessanta, gli stessi del decantato boom economico, descrivevano già egregiamente questa caratteristica italiota, questa pulsione esasperata alla raccomandazione d’impronta mafiosa (dal Nord al Sud senza distinzioni). Una cattiva attitudine che nel tempo si è solo sviluppata interessando tutti i settori della vita sociale ed economica del Paese e trasformando i raccomandati in soggetti arroganti e perfino orgogliosi di mostrare il loro status di paraculati.
Un tempo invece i raccomandati avevano il buonsenso di stare zitti e di essere discreti. I potenti della Democrazia Cristiana, partito che ha governato l’Italia per 50 anni e continua a farlo attraverso gli eredi che come un virus si sono infiltrati in tutti gli schieramenti da destra a sinistra, consigliavano di assumere anche uno bravo (perché indispensabile per andare avanti).
A onor del vero ci sono anche moltissime persone capaci ma pur sempre raccomandate, che in un Paese normale avrebbero fatto lo stesso carriera ma soltanto camminando con le proprie gambe. In Italia non si riesce a rinunciare alla raccomandazione, neanche per fare la coda davanti alla porta di un cesso pubblico.
È un problema culturale e proprio sulla formazione si dovrebbe agire iniziando come sempre dalla scuola, come si sta già facendo per sensibilizzare le nuove generazioni contro la mafia e la corruzione. Il problema è che questa cultura autodistruttiva della spintarella è fortemente radicata nel tessuto sociale. 

Ecco perché oggi, anche di fronte all'aumento esponenziale di famiglie povere e disperate, non si riesce a cambiare rotta. La nave sta affondando ma le bande di amici degli amici che detengono pezzi di potere e decidono, continuano imperterriti a fregarsene del bene comune. Ignorano che a un certo punto anche per loro mancheranno le scialuppe di salvataggio e si troveranno a nuotare in un mare di merda tentando di salvare la pelle.
È comunque vietato parlare di raccomandazione e nepotismo. Non è elegante. Si consiglia di restare indifferenti anche di fronte ai casi che gridano giustizia. Chi pone la questione lo fa a suo rischio e pericolo in ogni senso. Quante storie si potrebbero raccontare di figli di papà dal cognome importante ma non particolarmente dotati che superano rigide prove di selezione, vengono assunti dove e quando vogliono facendo carriere eccezionali in tempi record per poi provocare danni irreparabili a tutto il sistema.
I cittadini italiani normali devono andare avanti e stringere i denti, con la consapevolezza che in questo Paese non basta essere preparati o talentuosi. Un giovane può anche laurearsi a pieni voti, ottenere delle borse di studio ma senza la giusta spintarella dovrà quasi sicuramente accontentarsi o emigrare fuori dai confini nazionali.
Come già rilevato, è un problema culturale e come spesso ha detto un buon sindaco della provincia milanese, anche il cittadino che salta la fila in un ufficio comunale o ottiene velocemente il via libera a una pratica grazie a qualche “conoscenza” nei posti giusti è complice.
È possibile partire dai piccoli gesti quotidiani per sradicare la cultura dei favoritismi, delle raccomandazioni, della prepotenza mafiosa. Non bisogna confondere la raccomandazione (l’imposizione di una persona indipendentemente dalle sue qualità), con le referenze o segnalazioni di persone capaci di svolgere bene la propria attività. In ogni modo, l’augurio è che per puro spirito di sopravvivenza, si riesca lentamente a creare le basi per costruire una vera Repubblica democratica fondata sul lavoro.

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